"Lamerica"

"2° Parte"

Continuo sulla falsariga del Post precedente per raccontare in parte le lunghe e difficoltose peripezie che dovemmo affrontare per arrivare a questo benedetto paese.

Finii il mio Post precedente con la voce di mio padre che mi diceva che era ora di lasciare la nave per incamminarci verso la lunga scalinata che ci avrebbe permesso di mettere piede per la prima volta sul suolo americano. Prima pero' dovemmo ritornare per l'ultima volta nella nostra cabina per prendere le nostre poche cose ed avviarci verso l'uscita. Gli agenti federali che prima ci avevano interrogati si erano posizionati in doppia fila per regolare la lunga fila di immigranti che si era formata nel ponte di uscita della nave.   Il personale della bellissima Andrea Doria erano visibile ma a debita distanza per non intralciare il compito delle autorita' americane. Ci venivano date continuamente istruzioni in inglese che nessuno di noi capiva. Come sarebbe stato utile ed apprezzata una presenza del consolato italiano in quel momento, ma nessuno si fece vivo, anche, se non altro, per darci una parola di conforto in quel momento cosi' difficile della nostra vita. C'erano migliaia di nostri connazionali che dovevano proseguire per altri luoghi a volta distanti giornate di treno e un'autorita' italiana sarebbe stata di immenso aiuto. In quel periodo di grande immigrazione altre nazioni europee fecero si' che i loro emigranti avessero un loro rappresentante nel porto. Purtroppo non per noi italiani che sin dal primo istante dovemmo vedercela da soli. In tutto scendemmo questa lunga scalinata che ci portava a terra ferma. Dall`alto vedevamo a distanza tanta gente dietro le transenne che facevano segno di saluto. Erano i tanti parenti che stavano aspettando per portarci nelle loro case ed avviarci verso una nuova vita. Arrivato all'interno del porto ci trovammo di fronte una immensita` di agenti doganali pronti a rovistare in tutto e per tutto i nostri bauli.
I nostri aguzzini ( cosi' mio padre li chiamo') aprirono tutto e ci gettarono tutti i panni per terra. Avevamo messo nel fondo del baule due prosciutti, ebbene se li presero e li portarono via. Cercai di chiedere il motivo, e piu` con gesti che con parole, ci fecero capire che non era permesso portare carne suina nel suolo americano. Gli chiesi cosa ne facevano di quel ben di Dio e loro mi risposero che li avrebbero buttato nell'immondizia. Dopo tanto tempo ho saputo da un lavoratore portuale che non  era vero, perche', specialmente i lavoratori portuali italo/americani, se lo portavano a casa loro per consumarli con le loro famiglie. Fu questa la prima delusione in terra americana, e la prima occasione per mio padre per dirmi che la mia idea di venire in America non era poi tanta azzeccata. Finalmente dopo quasi due ore ci liberammo da tutti i compiti doganali e iniziammo a cercare mio zio, fratello di mio padre, che era li' ad aspettarci. Papa', anche se non lo vedeva da piu' di vent'anni, lo riconobbe e l'abbraccio col fratello maggiore fu lungo ed emozionate. Poi con la sua grande auto Dodge ci porto' a casa sua dove ci aspettava la zia e mio cugino. La sua casa era ben mantenuta ma piccola, molto piu` piccola della casa che avevamo lasciato a Cansano. Poi ci porto' giu' nel semi internato dove c'erano due stanze assegnate a noi. Abituati a una casa di otto vani vedersi confinati in uno spazio cosi` ristretto ci fece una certa impressione. Intutto eravamo grati allo zio per averci riservato uno spazio tutto per noi. Naturalmente c'era soltanto il minimo essenziale per cominciare, per il resto ci servirono mesi per poterli acquistare. I primi tempi furono difficili, non avevamo come tanti paesani una famiglia unita. Come ho detto in precedenza mia madre, mio fratello, sorella e soprattutto la mia ragazza erano rimasti a Cansano, Tanto io che mio padre non sapevamo per niente cucinare, fu cosi' che ci dovemmo affidare ad un negozio di generi alimentari per avere di tanto in tanto un pasto caldo. Passarono mesi prima che decidemmo di almeno provare a cucinarci da soli, con risultati non certo da andare orgogliosi. Tre giorni dopo l'arrivo, grazie anche al caro amico Salvatore Del Giudice, andai con lui a lavorare presso un`azienda che manifatturava gioielli non preziosi. Fu questo il mio inizio della vita americana, un inizio non certo facile, sicuramente pieno di sacrifici e anche qualche privazione. Ma la perseveranza e la certezza che giorni migliori sarebbero venuti fece si' che quel periodo cosi' difficile divenne soltanto un ricordo sbiadito nel tempo.